Quella mattina la vidi pallida in volto, occhiaie eccessivamente pesanti solcavano la sua espressione ancora assonnata e, subito, ovviamente preoccupata per la sua salute, le domandai: “Ma sei sicura di sentirti bene?”
La sua reazione fu inspiegabile come al solito.
1.
E’ passato molto tempo dalla prima volta che conobbi la ragazza con la quale condivido questo piccolo appartamento da quasi tre anni, eppure, vi giuro, ancora non riesco a capirla del tutto.
Indubbio il fatto che gli ospiti, delle volte, possano essere indesiderati, ma, cosa vi devo dire, è lei che mi ha aperto la porta amichevolmente sin dal principio!
Ed invece, ultimamente ho come l’impressione che la mia presenza, addirittura, sia diventata un peso per lei.
E, proprio qualche giorno fa, non potete immaginare la terribile delusione e lo sgomento che ho provato nel leggere un paio di pagine scritte di suo pugno tra gli appunti del suo pc…
Non pensate male!
Non avrei mai potuto immaginare che fossero pagine riservate, mai avrei potuto ficcare il naso in cose che non mi riguardano!
Io?!? Figuriamoci!
Mi cadde semplicemente l’occhio… un po’ di curiosità… insomma, non ne potei proprio fare a meno!
Ma era per il suo bene, sapete?
Ero preoccupata che stesse lavorando troppo e…
Ma sentite cosa ha scritto, e vedrete che la ragione vi si ribalterà in mano come un guanto quando avrò finito di narrarvi questa storia!
“La vidi per la prima volta per caso, in un piovoso lunedì di inizio novembre, quando ancora il mio essere stava lottando con i sofferti anni degli acerbi teen. Non ricordo con esattezza per quale inspiegabile ragione la mia attenzione si soffermò proprio su di lei, e, soprattutto, perché da quel momento fu così capace di entrare a far parte della mia esistenza, senza mai più poterne uscire. Ameno sino ad oggi…
Mi trovavo a percorrere i larghi corridoi del liceo che a quel tempo ospitavano molto più volentieri il mio corpo che il mio spirito, fuori da grandi vetri opachi e consumati dal tempo l’acqua stava prepotentemente invadendo ogni cosa, battendo forte sulla tettoia del cortile, infradiciando strade, vie, palazzi e tutti gli abiti portati troppo lunghi dei ragazzi che quella mattina, molto probabilmente, avevano “saltato”, fermandosi più al lungo davanti ai cappuccini del bar che all’angolo regnava sovrano. Doveva essere forse un’ora buca, o un intervallo fatto durare più di quello che ufficialmente era consentito, come un’anima in pena mi aggiravo svogliatamente tra la macchinetta del caffè e le scale secondarie, quando, ad un tratto, inspiegabilmente, la mia attenzione fu rapita da una figura seduta sull’ultimo gradino, proprio in cima, accanto all’accesso del tetto, proprio dove mai nessuno aveva l’abitudine di andare. Non so con precisione cosa fu il particolare che magnetizzò la mia attenzione, forse il suo aspetto insolito, forse il suo sguardo in bilico tra un’inquietudine profonda, malsana, e nello stesso tempo titubante, e un baratro di terrore dettato da chissà quale strana paura. Completamente vestita di nero, avvolta da un maglione eccessivamente grande e da una cascata di ricci capelli crespi, colorati d’un rosso acceso, mi ricordo bene, al mio passaggio alzò improvvisamente la testa, fissandomi per un instante, mostrandomi il suo volto scavato, pallido, sofferente, trafiggendo il mio osservare con occhi tondi, grandi, spalancati, gelidi, ricolmi di forti sentimenti capaci di provocare imbarazzo, timore e attrazione, mescolati in un qualcosa di indefinibile. Vibrazione negativa. Non mi piacque per nulla. Cercando -probabilmente invano- di far finta di niente, girai l’angolo del corridoio e me ne andai, ancora del tutto inconsapevole di ciò che realmente mi era appena accaduto.
Passarono diverse settimane in cui mi scordai del tutto di quello strano incontro, in cui la mia timida e vivace esistenza sembrava procedere né più né meno come diversamente non sarebbe potuta andare, tutto nella norma, tutto a posto, quanto meno per ciò che poteva essere all’interno dei miei parametri di quei tempi. Tutto bene, sino a quando un giorno qualcosa di imprevisto accadde.
Perennemente presa dalle faccende che travolgevano l’universo che governava la mia testa, al di là di ogni apparente realtà, difficilmente passavo il mio tempo socializzando con altri di quella scuola che così tanto mi andava stretta, molto più volentieri preferivo vagare con il mio pensiero per altri luoghi probabilmente sconosciuti al resto del mondo, sicuramente alla maggioranza dei ragazzi che, distrattamente, vedevo passare accanto al mio Io perennemente sconvolto, di cui mi sfioravano appena soltanto alcuni gesti o espressioni. Un mattino, però, nel mezzo del branco dei liceali che, svogliatamente e rumorosamente, aspettavano il fastidioso suono della campanella di ingresso, di nuovo quella strana figura attraente ed inquietante entrò nel mio spettro visivo, lanciandomi uno sguardo distratto, ma diretto, lasciando scivolare la mia risposta nel nulla, sapendo bene di essere osservata, cosciente di ciò che stava per provocare, ma piena di una fredda indifferenza. Il ricordo del nostro primo incontro si riaccese vividissimo nella mia memoria, rimbalzando tra i miei pensieri per tutto il resto della mattina. Irritante. Insopportabile. Doveva esserci una ragione, un motivo logico, una spiegazione, uno di quei tanti perché che con testardaggine si devono assolutamente ricercare in ogni cosa capace di alimentare il nostro essere. Categorico: dovevo scoprirlo.
L’occasione, per caso o per destino, mi si presentò dinnanzi proprio nel bel mezzo del primo pomeriggio dello stesso giorno. La vidi girare l’angolo un centinaio di metri davanti a me, proprio sulla strada di casa. Inutile dire che, con la mia innata insicurezza, decisi “fermamente” di accarezzare l’idea di prenderla al volo. Qualcosa nell’aria muoveva il mio spirito con irrequietudine, curiosità ed attrazione, impossibile farsi manovrare da quella poca razionalità che albergava in me, dovevo seguire l’emozione e le sensazioni, eppure l’istinto mi stava suggerendo di lasciar stare, eppure…
Accelerai il passo, presi la stessa via, ansiosamente mi guardai attorno, senza sapere esattamente cosa avrei fatto e… Scomparsa. Sparita nel nulla, inspiegabilmente. Con una grande perplessità e un consistente filo di delusione, ripresi la mia solita andatura verso il confortante tepore della mia tana. Quando all’improvviso…
“Ciao. Hai una sigaretta, per cortesia?”
Ciò che doveva succedere era già inevitabilmente accaduto.
L’acqua stava continuando a battere violentemente sul grigio della città ingolfata dal solito traffico dei giorni lavorativi, scivolando con prepotenza su ogni oggetto o persona raggiungibile dal suo scrosciare e dal suo subdolo insinuarsi persino attraverso i colletti delle giacche appositamente allacciate strette. Il mio zaino inzuppato, i miei abiti da appendere stesi per una settimana, il castano dei miei capelli gocciolante e rassegnato alla sua condizione. E il tram che non aveva la ben che minima intenzione di passare in tempi decenti e salvarmi da quel raffreddore probabilmente già preso. Ma, in quel momento, la mia perplessità non lasciava alcuno spazio per soffermarsi su simili “dettagli”. Non era accaduto assolutamente nulla di strano, nulla di insolito, nulla di sospetto, di bello o di brutto, nulla di cui preoccuparsi o di cui gioire. Eppure qualcosa era successo.
Era comparsa quasi dal nulla, arrivandomi alle spalle, prendendomi in contropiede, alla sprovvista, quasi spaventandomi, mi aveva chiesto una sigaretta, senza pronunciar parola le avevo allungato il pacchetto, l’avevo osservata accenderla con avidità e allontanarsi, avvolta da un’improbabile mantella viola. Nulla di più. Eppure… qualcosa mi stava dicendo molto chiaramente che non sarebbe finita lì.
La mattina seguente, non potei fare a meno di cercare con lo sguardo l’insolito rosso dei suoi capelli, di tentare di percepire quell’aura sconvolgente che il suo spirito era in grado di emanare, di provare, in vano, di ricondurre il tracciato dei miei pensieri su un percorso che fosse più solito, famigliare e, in un certo senso, conveniente a me stessa. E così accadde per un’intera settimana. Poi fu lei a trovar me. Inaspettatamente, di soprassalto, proprio quando il mio animo s’era quasi del tutto rilassato sull’accaduto.
“Ciao. Come va? Sto uscendo a fumare. Pensavo di ridarti la sigaretta dell’altro giorno. Vuoi venire con me? Possiamo fare due chiacchiere.”
In tutta onestà, mai mi sarei aspettata un’entrata in scena di quel genere.
Presa alla sprovvista, non potei fare a meno di accettare. Fu inevitabile. E, pensandoci con il senno di poi, forse, non me lo perdonerò mai…”
No, dico, ci stiamo rendendo conto della gravità della cosa?!?
Stava proprio parlando di me, ne sono certa!
Non sono un’idiota!
La mia migliore amica, avete capito?!?
E io che ho passato tutto questo tempo ad occuparmi di lei… povera me!, maltrattata in questo modo con parole così… dio sono talmente esterrefatta che non saprei neppure definirle!
Incompresa, ecco cosa sono!
Ma voi non potete ancora afferrare il perché di un mio simile sgomento, non sino a quando non vi avrò raccontato come veramente è la faccenda, tutto quello che io ho cercato di fare per il suo bene e il suo modo così incomprensibile di reagire alle mie cure e…
Ma sarà mia premura spiegarvi ogni cosa.
2.
Innanzi tutto, da persona cortese ed educata, voglio presentarmi: il mio nome è Ermenegilda.
(Ma, sia ben chiaro, gli amici possono tranquillamente chiamarmi Gilda!)
Non saprei dipingermi molto bene dal punto di vista fisico, credo di essere una di quelle persone a cui non si sa dare precisamente né un’età e neppure una caratteristica descrizione di un aspetto del mio volto o del mio corpo, quasi come se ad ognuno io possa apparire differente, o ad ognuno io sia in grado di mostrare lati di me che so celare ad altri… almeno questo è quello che ho sentito dire sul mio conto…
Ah, sì!, e vi posso assicurare che ne ho sentite davvero tante!
Ma io non voglio dar peso a tutte queste opinabili verità, mi limito ad esistere, tutto qui.
C’è addirittura chi ha creduto, in passato, che io sia un’anima malvagia, ancor oggi qualcuno cerca di evitarmi per questo, eppure… vi confesserò, in realtà, sono piena di amici!
(ma questo non raccontatelo alla mia ospite, la conosco bene, potrebbe anche rimanerci male, sapete?)
Ad ogni modo, al contrario di quanto molti possono credere, vi posso assicurare, io posseggo un’innata sensibilità per il benessere altrui, una gigantesca capacità di affezionarmi ai miei tanti amici e, perciò, di preoccuparmi molto seriamente (e non morbosamente come qualcuno sostiene) ogni qual volta che la mia natura riesce a percepire anche soltanto un minuscolo “pericolo” che possa intaccare la loro salute e la loro serenità.
Ma, più passa il tempo, più mi pare di intuire che alla mia cara amica tutto ciò non sia esattamente ben chiaro, anzi!
Mentre, agli inizi della nostra convivenza, le mie parole venivano prese in grande considerazione, al punto quasi di essere causa di malessere ed ansietà, negli ultimi tempi, come vi dicevo, le sue reazioni stanno diventando sempre più scontrose nei miei confronti, quasi la mia presenza iniziasse ad infastidirla ed innervosirla. E non potete capire quanto questo per me sia terribilmente frustrante!
Ma, anche se vittima di continui fraintendimenti, come fare a lasciar sola ed abbandonare una cara compagna come lei?!
Oh, com’erano piacevoli i primi anni della nostra amicizia!
A pensarci adesso, non riesco a darmi pace, cosa mai avrò potuto sbagliare? Cosa mai è accaduto? E, ancor peggio, cosa sta succedendo ora? Cosa che io non possa comprendere?
Dove sono finite tutte quella belle giornate passate insieme, io e lei, nessun altro e quell’intesa perfetta che ci rendeva inseparabili, complici e partecipi della stessa esistenza… dove?
I pomeriggi trascorsi senza far nulla, ascoltando solamente quel suono così piacevole del rumore dei nostri pensieri più profondi, dettati soltanto dai nostri animi inevitabilmente, e giustamente, sconvolti da quell’universo tutto nostro che così tanto ci apparteneva, seppur apparentemente illogico ed assurdo. Tutte quelle nottate passate senza dar spazio ad un sonno superfluo, perché il nostro parlare prendeva il sopravvento ed era in grado di avere la priorità su ogni altra cosa.
E cosa dire di tutti i brutti momenti ed i giorni peggiori affrontati insieme?
Come poterli dimenticare?
Eh, in quel tempo sì che i miei consigli erano davvero presi in seria considerazione e le mie parole erano ascoltate con fiducia e persino con apprensione!
Quante volte sono stata io a fermarla in tempo prima che potesse mettere seriamente a rischio la sua salute!
Quanti giorni lei sarebbe uscita ugualmente mentre io vedevo il suo volto pallido, segnato da pesanti occhiaie sotto quegli occhi stanchi, o notavo in lei la titubanza di chi non sa decidere cosa realmente sia meglio fare per se stessi e, a quel punto, riuscivo a fermarla in tempo, a farla ragionare, avvolgendola del mio affetto, la riportavo sulla giusta strada, senza mai abbandonarla o lasciarla sola.
Allora sì che il suo atteggiamento era docile e comprensivo nei miei confronti!
Per alcuni periodi smetteva addirittura di lavorare per darmi ascolto, senza opporre al mio volere mai la ben che minima intenzione di non seguire i miei saggi consigli, si affidava totalmente alle mie amorevoli cure, e, con piacere –ne sono certa- mi accoglieva a braccia aperte, tanto da permettermi di accompagnarla a sdraiarsi sul divano e, stendendomi con lei, di ricoprirla con una calda coperta.
Non voglio immaginare cosa sarebbe potuto accadere se le mie parole non fossero state in grado di suscitare in lei ragionevoli dubbi sul da farsi, quando, sicuramente, avrebbe sottovalutato quei piccoli sintomi apparentemente innocui e banali.
Riuscisse ancora ad essere consapevole della fortuna che ha avuto nell’incontrare una persona come me sul suo cammino!
Ed invece…
Anche se, devo riconoscerlo, il suo cambiamento, a pensarci ora, non è avvenuto esattamente da un giorno all’altro. Non è stata cosa improvvisa. Forse avrei potuto accorgermene prima, forse avrei potuto fare qualcosa.
Forse…
3.
Più cerco di ricostruire i fatti del passato, più inizio a credere che il primo campanello d’allarme di un cambiamento negativo l’avrei dovuto sentire quella volta del viaggio in America.
Se la memoria non mi inganna, era una calda giornata d’inizio primavera, in cui il cielo è eccessivamente blu e la luce del sole talmente intensa da risultare quasi fastidiosa, ad occhi sensibili come i miei, si intende. Era un pomeriggio anche troppo tranquillo, noioso, direi, uno di quelli che sembra non possa succedere assolutamente nulla di particolare per movimentare un po’ la situazione. Stranamente, mi trovavo a casa da sola, avvolta completamente da un tedioso alone di nulla, quando, all’improvviso, la mia coinquilina rientrò a casa con un insolito sorriso stampato su un’altrettanto insolita faccia felice e soddisfatta.
“Ben tornata, amica mia! Non ti aspettavo così presto, sono contenta di vederti! Mi sembri eccessivamente su di giri? Tutto a posto?”
“Si… ciao, Gilda, scusa, ma ora non ho tempo…”
“Oh, ma davvero? Cosa mai avrai da fare di così urgente ed importante, sicura che non mi stai nascondendo qualcosa?”
“No, no, niente… è solo che tra un mese partirò per un viaggio negli Stati Uniti, bello, no?”
“…partirai?”
“Si, per un paio di settimane, ma sono sicura che farò di certo una gran vacanza!”
“…farai?”
(come ho fatto a non capire, già stava cercando di scaricarmi!!!)
“Si, beh, andrò con un paio di amici, non di certo da sola… Ora, scusami, ho un po’ di cose da sbrigare…”
“Ah… che sciocca, non sai cosa avevo pensato! A quando la data di partenza?”
“Il 19 luglio, perché?”
“Beh, ovvio! Bisogna fare con cura tutti i preparativi!”
“Oh, non ti preoccupare! Ci penserò io, non darti disturbo, non ce n’è bisogno.”
“Ok, ma… non vorrai fare anche i miei di bagagli, non crederai che ti lasci affaticare così tanto?!”
“I tuoi?”
Sino a quel momento non mi aveva assolutamente neppure sfiorata l’assurda idea che la mia amica, ma che dico, la mia migliore amica, stesse parlando solo di lei… stesse… pensando di lasciarmi a casa… da sola!!!
“Ma… sì… non vorrai per caso dirmi che… e io?”
“Gilda, non avrai pensato che avessi l’intenzione di portarti con me, vero?”
Fu come se un macigno di dimensioni spropositate si fosse abbattuto sul mio essere. Non potevo crederci.
“Ma pensaci bene, se dovessi sentirti male dall’altra parte del mondo, cosa farai senza di me!?!”
“Oh, andiamo, perché mai dovrei stare male?”
“Lo sai bene che non è mai detto…”
“Beh, correrò il rischio.”
E così troncò la discussione, lasciandomi sola ed esterrefatta.
Amici miei, cosa credete che il mio innato spirito protettivo, alla fine, non abbia avuto la meglio?
Ci pensai su per tutto il mese seguente, finché, fu più forte di me e la decisione fu inevitabile.
Non avrei mai potuto lasciarla: il giorno seguente alla sua partenza, mi imbarcai anch’io sul primo volo diretto negli Stati Uniti. Dopo un paio di giorni, finalmente, giunsi nella città che la stava ospitando, sicura, nonostante tutto, di farle una graditissima sorpresa. Ero certa che, nel frattempo, il suo animo s’era pentito di quella terribile scelta, e che vedermi sbucare all’improvviso da dietro un angolo l’avrebbe senz’altro fatta felice.
La cercai per tutto il pomeriggio, attraverso le grandi vie affollate della downtown, cercai di riconoscere il suo volto in ogni persona che, senza curarsi della mia presenza, mi passava accanto con un’eccitante frenesia; camminai per tutto il giorno, senza tregua, finché, ad un tratto, finalmente, la vidi uscire da un affollato ristorante.
Subito notai che la sua mano destra era appoggiata sul suo stomaco.
All’istante, pensai: “Chissà cosa le avranno fatto mangiare!”
Preoccupata, senza riflettere neppure un secondo, mi avvicinai a lei di corsa, le misi una mano sulla spalla e, non perdendo neppure tempo in stupidi convenevoli di saluti, le domandai: “Ehi, ti senti lo stomaco troppo gonfio? Ma sei sicura di sentirti bene?”
Non saprei descrivere la gioia che provai nel constatare che la sua reazione nei miei confronti fu assolutamente normale: non arrabbiata nel vedermi, non offesa da non darmi ascolto, anzi!
Sì, forse, soltanto un pochino infastidita, ma, di certo, doveva trattarsi del suo stomaco!
E, una decina di minuti dopo, eravamo entrambe sdraiate su un divano, finalmente ancora insieme.
4.
Dovete riconoscermelo, quell’episodio del viaggio oltre oceano, finito così bene, non poteva lasciare preoccupazione in me. In fondo, a quale persona non capita di sbagliare, di confondersi, ogni tanto… ed era proprio quello che doveva essere accaduto alla mia ospite quando aveva deciso di non portarmi con lei, non poteva esistere altra spiegazione! E come non perdonare un errore alla propria migliore amica?!
Ci misi una pietra sopra, discorso chiuso, finché un giorno, qualche tempo dopo…
L’autunno era prepotentemente giunto nei nostri pomeriggi, portando con sé fredde folate d’un aria frizzante e profumata di quell’inverno prossimo a venire. Le foglie sugli alberi, colorate di accese tonalità, erano già lentamente scivolate verso la loro inevitabile morte, tappezzando di giallo e rosso strade e marciapiedi sempre ricoperti da quello scontato grigio della città, così affascinante, in fondo, anche se da pochi realmente compreso.
Da qualche ora ci stavamo entrambe aggirando per casa senza trovare un giusto stimolo che avesse potuto animare quell’apatica noia che ci aveva invase. Nulla, né di buono né di cattivo, lasciava presupporre l’accadere di una svolta decisiva in quella giornata apparentemente inutile.
Finché, con mio grande stupore, all’improvviso la mia amica, gettando un rapido sguardo oltre i vetri della sua stanza, mi disse:
“Va bene, cosa dobbiamo fare? Usciamo.”
“Usciamo? E dove mai vorresti andare con un tempo così?”
“Non lo so, Gilda! Usciamo e basta, poi vedremo!”
“Ma… guarda che vento! Non vorrai per caso prenderti un accidente?! Non vorrai prendere freddo e rimanere poi a letto malata? E la gola… non ti bruciava un po’ ieri sera?”
“Oh, smettila! Se sto sempre a dar retta a te, va a finire che non faccio più nulla!”
(Non mi aveva mai risposto così…)
“Oh, d’accordo, come vuoi! Se ci tieni tanto, andiamo! Ma poi non dirmi che io non ti avevo avvisata!”
Poco tempo dopo, senza nascondere neppure per un momento il mio totale – e pienamente giustificato – disappunto, ci ritrovammo a passeggiare, a mio parere senza senso alcuno, per vie già velate dalle ombre della sera, dirette verso un “assurdo” chissà dove.
“Ok, senti, quattro passi li abbiamo fatti, cosa ne dici se ce ne tornassimo a casa? Non lo senti un po’ di freddo allo stomaco? Troppa umidità, lo sai, che ti fa venire il mal di testa e…”
“No, pensavo invece di andare, non so, a bere un aperitivo, salutare un po’ di amici…”
“Ma quali amici?! Ci sono qua io!”
“…che noia!”
“Ecco, vedi, non mi sembri proprio dell’umore giusto per stare in mezzo alla gente, dai retta a me… molto meglio tornare a casa sotto la copertina!”
“Senti, se non ti va, torna tu a casa!”
Dopo una frase così orribilmente scortese e ingiusta nei miei confronti, lo ammetto, mi offesi tantissimo e, per tutto il resto della sera, rimasi in silenzio pensando a cosa avrei potuto dirle per farle comprendere che ancora una volta s’era sbagliata, ma che così non poteva trattarmi.
E la cosa più terribile è che, mentre io me ne stavo nel mio angolo da sola, lei continuava imperterrita a ridere e divertirsi con i suoi stupidi amichetti.
Era troppo. Non potevo sopportare tutto ciò senza far nulla.
A tutto c’è un limite, non credete?
Dovevo assolutamente trovare il modo per fargliela pagare, appena mi si sarebbe posta l’occasione.
Non per cattiveria, non fraintendetemi anche voi! Per carità!
E’ solo che, delle volte, servono le maniere dure per farsi capire…
Nelle giornate successive, rimasi buona e tranquilla senza fare nulla, aspettando il momento giusto per agire, sempre più irritata da quel suo incomprensibile atteggiamento di indifferenza nei miei confronti. Poi, un’inaspettata telefonata, mi creò finalmente la tanto desiderata occasione per farmi sentire.
Mi ricordo bene, non ero riuscita a capire chi l’avesse chiamata, ma una cosa l’avevo subito intuita: doveva uscire e non aveva la ben che minima intenzione di portarmi con lei.
A quel punto, entrai subito in azione.
“Ah… stai uscendo?”
“Si, perché?”
“No, così… non mi sembravi un gran ché in forma, ma… se te la senti… se non hai alcun dubbio…”
“Certo, perché… dovrei averne?”
“No, figurati, stavo solo pensando che per una persona fragile come te…”
“Io, fragile?”
“Ma sì, dai! Io non voglio insinuare niente, però… quante volte sei stata vittima di inspiegabili malesseri, di improvvise sensazioni di mancamento o di insicurezze tali da paralizzarti completamente, mozzarti il respiro e farti temere il peggio, o… Ma cosa ti prende, adesso? Come mai sei impallidita? Perché le tue mani sono così sudate e fredde? Ora non posso non chiedertelo, ma sei sicura di sentirti bene?”
Senza pronunciare sillaba, lentamente si tolse la giacca appena infilata e, con un’ombra di terrore e di panico stampate sul suo volto, andò a rintanarsi sul divano, al nostro posto.
Io mi sedetti accanto a lei, senza riuscire a mascherare del tutto un piccolo ghigno di soddisfazione. Seppur duramente, avevo preso la mia schiacciante rivincita. E, vi confesserò, non mi dispiacque per niente.
5.
Nonostante la piena soddisfazione e la mia ferma convinzione di aver rimesso ogni cosa al suo posto, la mia rivalsa fu, ahimè, di breve durata.
Passò poco tempo da quell’evento, apparentemente le nostre vite erano tornate sulla strada di sempre e nulla sembrava potesse far presagire il peggio. Finché un giorno, non ricordo neppure quale fu il pretesto, un violento litigio giunse improvviso come un temporale nella nostra quotidianità. Parole crude, violente, dal peso insopportabile, seguite da un totale mutismo.
Da quel momento, la mia migliore amica iniziò, palesemente, a non essere più la stessa.
Ogni mio consiglio, di qualunque natura potesse essere, non era più ascoltato come un tempo, e, cosa ancor peggiore, sempre più spesso le sue reazioni risultavano per me assolutamente incomprensibili.
Il dialogo tra noi era diventato qualcosa da usare soltanto in circostanze “particolari”, che andavano diminuendo ogni settimana di più, sino a giungere a periodi di ghiaccio totale.
Indifferenza, e non solo alle mie parole, ma addirittura alla mia presenza!
Smorfie di scherno o completa avversione verso la mia stessa natura sovente mi ferivano come gelide pugnalate alle schiena, e i nostri momenti insieme si erano ridotti a fugaci istanti.
Forse inutile dirvi quanto il mio animo potesse essere scosso ed irritato da una simile situazione.
Io! La sua migliore amica!
Non riuscivo proprio a capire, a trovare una plausibile causa che avesse potuto scatenare un così progressivo ma rapido cambiamento.
E più mi sforzavo di coglierla più sembrava che tutta la situazione stesse andando via, via sfuggendomi di mano.
Sino a quando, improvvisamente, la verità mi si presentò davanti, chiara, limpida, come non mai, anche se, in verità, mi era sempre stata sotto gli occhi.
Eh, quanto può rendere ciechi la disperazione!
Eppure, quando uno meno se lo aspetta… ecco che su ogni cosa si fa luce.
La mia migliore amica mi stava abbandonando perché aveva iniziato a frequentare qualcuno.
Come avevo fatto a non capirlo prima?!
Puntuale, ogni lunedì e giovedì, stessa ora, senza mai tardare di un secondo, lei usciva di casa senza dirmi assolutamente nulla, senza un saluto, un cenno, proprio come se avesse voluto celarmi il motivo reale di quelle sue “fughe”. E, ogni volta, dopo circa un paio d’ore o poco più, era di ritorno, sempre con una certa espressione soddisfatta sul suo volto, sempre senza rivolgermi neppure uno sguardo, peggio ancora degli altri giorni.
Mi sembrava di impazzire.
(Pensate che, addirittura, una volta la sentii parlare al telefono e, sono certa, era lui e l’appellativo con cui lo chiamò fu… dio, mio!, “Dottore”! Un dottore! Non so se mi avete capito! La peggior razza di persone che si possono incontrare! Così fastidiosi, così invadenti e poco opportuni… Mi fanno venire i brividi! Ma, scusate, torniamo a noi…)
Mi stava lasciando sola e io, fatto molto strano, non riuscivo a trovare la forza di reagire, di farmi valere, di non abbandonarmi a momenti di sconforto, di parlarle come un tempo, di…
Cosa mai avrei potuto fare per impormi?
Cosa avreste fatto voi in una situazione allucinante come questa?
Ci pensai su per un po’, finché non decisi di far finta di nulla a mia volta, di rimanere tranquilla senza agire, senza farmi più sentire, limitandomi solo ad esserci in casa, come sempre.
Pensai che, forse, concedendole un po’ di tempo, sarebbe stata lei a sentire la mia mancanza, a sentirsi sola e tornare sui suoi passi, in cerca della mia presenza, forse…
E le mie teorie non si rilevarono poi del tutto sbagliate.
Superato, in qualche modo, intendiamoci, quel periodo di completa crisi, ci furono dei mesi rispecchianti in modo vago e sfuocato i “vecchi tempi”, in cui, a mio malgrado, non potei fare a meno di adattarmi alla nuova situazione.
Poi, improvvisamente, i suoi regolari appuntamenti smisero di esistere.
Altrettanto improvvisamente, mi sembrò quasi di rinascere dalla contentezza che provavo nello sperare di poter riuscire a riconquistare l’animo della mia compagna.
6.
Pian piano, la situazione tornò sulla strada della normalità.
Ci volle qualche settimana, lo riconosco, e non era ancora tutto come io avrei voluto che fosse, però… non potevo lamentarmi, in fondo.
(Sicuramente, doveva aver scaricato quell’insopportabile dottore.)
I nostri dialoghi, seppur ancora troppo sporadici per i mie gusti, erano comunque tornati ogni tanto ad animare le nostre giornate; i miei suggerimenti, sì, un po’ più sussurrati ed espressi “in sordina”, ma, ad ogni modo, avevano ripreso ad esistere ed essere almeno presi vagamente in considerazione.
Pensai, così, che poteva essere giunto il momento di riappacificarsi del tutto.
E ripresi a comportarmi come sempre avevo fatto, trovando, con grande piacere, risposte sempre più positive. Stavamo tornando ad essere amiche come un tempo. Potevamo farcela, avremmo potuto finalmente ricominciare da capo, dimenticarci del brutto momento e…
Ma, destino crudele, non è questo che vi verrà raccontato nel finale di questa storia.
Da un giorno all’altro, la sconfortante ombra di quel rompiscatole di un dottorino insistente tornò ad offuscare la mia gioia e le mie speranze.
Senza più abbandonarci.
E chissà che tipo dev’essere! Non voglio immaginare…
E, ne sono sicura, lei non deve accorgersene, cieca di fronte a non so quale genere di ammirazione, ma deve irritarle i nervi a tal punto da ricominciare a trattarmi a pesci in faccia, e senza alcun motivo, per di più!
Povera me, e dire che stavo cercando di fare di tutto, di tirar fuori il meglio di me stessa per lei!
Ma…
L’inevitabile, alla fine, accade sempre.
Proprio l’altro giorno, dopo ore che attendevo il suo arrivo…
“Ciao! Come stai? Tutto bene? Ti aspettavo, hai fatto tardi… ti vedo un po’ stanca, forse dovresti riposarti un po’… Ma che brutta cera che hai! Cosa ne dici se ci mettiamo assieme sul divano a guardare un po’ di nulla in televisione?”
“Non ora, non ho tempo.”
“Ma… cosa…? …Guarda che non bisogna mai sottovalutare lo stress, potresti finire a letto malata quando meno te lo aspetti, potresti poi avere delle ricadute o… stare male all’improvviso, o…
Senti, non ti è mai capitato di avvertire come un frullo d’aria nel petto e poi di non riuscire a respirare per qualche secondo?”
“Cosa stai dicendo? Sei impazzita?!”
“E’ il cuore che perde qualche battito!”
“Smettila di parlarmi così, sai che poi mi spavento e mi viene l’angoscia!”
“Eh… te l’ho detto mille volte… l’angoscia è un biscia che striscia; d’altronde se stai con me… è inevitabile…”
“Non starai cercando di dirmi che tu…”
“Già, non l’hai ancora capito? La mia presenza… è come una mano che ti stringe alla gola, o come l’impressione di un peso che ti grava sul petto e ti chiude la bocca dello stomaco, o un acuto dolore che serpeggia lungo le costole… e cosa mi dici di quello strano malessere, di quella sensazione di spossatezza, di testa pesante e di gambe molli? A proposito… come stai? Ma… sei sicura di sentirti bene?”
“No, sto malissimo; sei contenta adesso?! Sei proprio una…!”
“Non dire così! In fondo ci facciamo tanta compagnia!”
“Vuoi sapere una cosa? Ne farei volentieri a meno! E’ come se tu fossi entrata dentro di me e mi facessi languire consumandomi a poco a poco…”
“Ma io sono dentro di te! Non fa, forse, piacere anche a te non essere mai sola?”
L’amica si fermò all’improvviso.
“Va bene, avevo ancora dei dubbi, ma l’hai voluto tu…”
Prese la sua borsa, tirò fuori una boccetta, si versò un bicchier d’acqua e, lentamente e con insolita calma, ci fece cader dentro un abbondante numero di gocce, bevve tutto d’un fiato e si sedette al suo computer, in totale silenzio, senza dar più la minima considerazione alle sue chiacchiere.
“Cosa stai facendo? Non capisco… io…”
Dopo una buona mezz’ora scandita da quegli ormai scontati fiumi di parole di Ermenegilda, senza batter ciglio, ad un tratto smise di scrivere, distolse l’attenzione dallo schermo e si girò, con totale freddezza, verso quella fastidiosa ed ingombrante compagna che aveva iniziato, miracolosamente, quasi a zittirsi.
“Ah, ecco, era ora che mi dessi retta, mi ero quasi stancata!”
“Si… senti, hai letto cosa c’è scritto su quella boccetta?”
“No, io… e perché mai dovrei? Cosa vuoi che me ne importi! Tanto! Vuoi sempre fare di testa tua, chissà cosa diavolo ti sei messa in mente…”
“Gilda? Posso farti io una domanda seria, adesso?”
Scioccata, non fu capace di ribattere e, invasa per la prima volta da una strana sensazione di “evanescenza”, si sedette, impietrita, in un angolo della stanza e con un filo di voce tremante le rispose: “…dimmi…”
“Gilda… ti vedo pallida, affaticata ma… sei sicura di sentirti bene?”
Gilda si girò di scatto verso la misteriosa boccetta.
Sulla confezione, in un inconfondibile stampatello di color azzurro, era impressa la scritta: “LEXOTAN”.
Per la prima volta dopo tanti anni, Gilda, senza pronunciare una sillaba, si alzò e andò a rannicchiarsi da sola, in silenzio, davanti ad una televisione spenta.
L’amica tornò al suo lavoro, accennando un piccolo sorriso e, per la prima volta dopo tanti anni, riprese a scrivere sentendosi tranquilla.
Dopo poco tempo, smise nuovamente di scrivere e rimase immobile per qualche secondo, alle sue spalle la presenza di Ermenegilda era scomparsa.
Lentamente si girò verso il divano, il suo solito posto era vuoto.
Improvvisamente Gilda se n’era andata…
(…almeno per qualche ora…)
Anna “Annina” Lorenzi
Racconto selezionato per il Premio Letterario Nazionale:
“Il Racconto nel cassetto – Premio Città di Villaricca” – V edizione.
Sezione: “Racconti e Romanzi Brevi”
Anno: 2008
Concorso organizzato a cura dell’Associazione A.L.I. Onlus