– Intro –
Uscì di casa in una fredda mattina d’autunno, mentre la nebbia di fine novembre stava avvolgendo l’alba di una città ancora addormentata e il sole stava faticosamente cercando di far capolino tra i grigi palazzi. Si allacciò la giacca, sistemandosi il meglio possibile i vari strati di lana che le avrebbero garantito lo stomaco caldo almeno per qualche chilometro.
Di fronte a lei la sua moto addormentata che la stava attendendo per condurla in luoghi a loro sconosciuti.
Girò la chiave, il quadro si accese. Tirò l’aria appena appena, delicatamente diede un giro di gas e l’accese. Pigramente il motore iniziò a scoppiettare. Si infilò occhiali, casco, guanti, rimase ancora per qualche istante incantata ad ascoltare il folle minimo irregolare del suo bicilindrico e partì.
Pochi minuti dopo era già uscita dalle vie non ancora trafficate della città, trovandosi immersa in una delle infinite, piccole statali che dalla provincia sapevano, inspiegabilmente, andare un po’ ovunque. L’aria le arrivava in faccia come una gelida lama, il freddo stava già iniziando ad intrufolarsi sotto la pelle e nuvole gonfie d’acqua se ne stavano minacciose, quasi ad attenderla, in quell’orizzonte che il diradarsi della nebbia lasciava intravedere, ma la voglia di andarsene era più forte di qualsiasi previsione del tempo che avrebbe potuto incontrare sul suo cammino. Nessun freddo avrebbe mai potuto essere neppure lontanamente paragonato a quello che da qualche tempo aveva invaso il suo animo, nessuna nuvola sarebbe mai potuta essere gonfia quanto i suoi occhi dopo essersi addormentata in lacrime a causa di un piccolo ricordo giunto a farle visita. Forse nessuno era mai riuscito a comprendere fino né lei né il suo dolore. E ora niente ora poteva fermarla. Esisteva solamente lei, la sua moto e la strada che pacificamente le stava dinnanzi, intrecciata al suo prossimo futuro.
Quella mattina era partita per il viaggio più importante della sua vita.
1.
Inaspettatamente, più i chilometri percorsi aumentavano, più la giornata si stava volgendo al bello. Forse al prossimo pieno di benzina un tiepido sole l’avrebbe accolta, quasi a volerle fare compagnia, mentre, rapidamente, l’ennesima sigarette si sarebbe consumata in pochi, nervosi tiri.
E così accadde.
Era già qualche ora che stava viaggiando e dalla collina su cui si trovava poteva scorgere il mare. Per sera sarebbe giunta sulla costa.
“Mi scusi? Ha da accendere, per favore?”
Si voltò. Da dietro i suoi occhiali scuri scrutò l’uomo che gli stava davanti e tirò fuori il suo Zippo.
Klack.
“Molto gentile, ma non fa freddo di questa stagione per andare in moto? Una ragazza da sola, poi…”
Si voltò di nuovo senza rispondere. L’uomo che aveva di fronte, a guardarlo meglio, sembrava più che altro un ragazzino. Un ragazzino con troppa voglia di parlare per il suo umore.
“Non troppo. E ti posso assicurare che la ragazza in questione non ha nessun problema a girare da sola.”
Rispose freddamente e tornò a scrutare l’orizzonte.
“E’ bella la vista da qua, non trovi?”
“Già.”
“Se poi capitavi qui per il tramonto…”
Spense la sigaretta.
“Si, immagino, ma ora devo andare.”
“Io non credo che tu abbia tutta questa fretta. E non credo neppure che tu debba rincorrere un orario, un tempo, una persona… a parte te stessa.”
Si fermò.
Cercando, però, di non mostrare troppo quanto quelle ingenue parole l’avessero potuta toccare nel profondo.
“Ma non hai molta voglia di parlare, non è vero?”
Si voltò nuovamente a fissare il ragazzo.
“Dimmi un po’, visto che sei così intelligente, da cosa l’avresti capito?”
“Eh, non sono per nulla così intelligente! Vado solo a sensazione. Comunque, tranquilla, non c’è problema. Chissà, forse un giorno ci rincontreremo e faremo due chiacchiere… Buon viaggio, amica, ti auguro di riuscire a trovare ciò che cerchi e di poter riempire quel baratro che t’ha devastata. A presto!”
Rimase per qualche secondo completamente incapace di pronunciar parola. Come diavolo faceva un perfetto sconosciuto di neanche vent’anni a percepire così chiaramente ciò che aveva dentro e che cercava disperatamente di celare al mondo nascondendolo dietro ad una forzata aggressività?
“Aspetta! Come ti chiami?”
“E che importa?”
“Beh… dove stai andando?”
“In giro. Ovunque e da nessuna parte, se preferisci. Ma ora devo scappare. Ci vediamo, ok?”
E se ne andò all’improvviso, nell’esatto modo in cui era comparso.
Mentre il sole si era già quasi completamente tuffato in un mare infuocato dal rosso di uno splendido tramonto, il canto della sua moto risuonava, curva dopo curva, piega dopo piega, nella poca strada che la separava dal meritato riposo. Quella luce quasi surreale, quell’atmosfera di tranquillità e lo splendore della striscia di asfalto che stava seguendo, immersa in piccoli boschi e verdi colline, facevano sembrare una piacevole compagna anche quell’aria sempre più fredda che gli arrivava addosso e, finalmente, il suo animo, per qualche istante, riprese a sorridere.
Arrivò alla più vicina cittadina quando già si stava facendo buio e la prima stella della sera aveva fatto capolino sopra alla sua testa, quasi a volerle fare un piccolo, sincero saluto. Si fermò sul lungomare, là dove aveva inizio una breve passeggiata con tanto di lampioni, panchine, bar e gelaterie probabilmente chiuse da almeno un mese. In giro nessuno. Solamente un cagnolino se ne stava gironzolando sulla spiaggia, non curante del vento gelido che iniziava ad arrivare dal mare.
L’aria era estremamente limpida, alla sua destra poteva scorgere chiaramente delle luci oltre allo sciabordare delle acque. Immaginò un’isola, forse un golfo e pensò che, probabilmente, l’avrebbe scoperto solo l’indomani e che, ad ogni modo, poco importava. Il freddo stava seriamente penetrandole nelle ossa. Un brivido la scosse. Rimase ancora per qualche istante a fissare quel mare che riusciva appena ad intravedere, a sentirne il suo canto, a percepirne il suo odore, mentre dentro di lei le malinconia stava nuovamente tornando a farle visita. Non avrebbe voluto trovarsi lì, non avrebbe voluto partire in quel modo, no, non per quella ragione, non per un dolore così grande, non per un vuoto così immenso. Ma non poteva farci nulla. E la rabbia la invase. Ma al caso non sapeva crederci. E l’incomprensione, il dubbio e una lacrima trattenuta ancora una volta all’angolo dell’occhio la convinsero a trovarsi una branda per dar riposo, quantomeno, al suo corpo sufficientemente stanco. Diede uno sguardo alla sua moto.
“Vuoi riposare un po’ anche tu, eh? Ok, piccola, andiamo a nanna.”
Si svegliò nel pieno della vita mattutina, in una minuscola stanza di una pensione abbastanza squallida ma che, fortunatamente, aveva saputo dar alloggio dignitoso anche alla sua adorata compagna di viaggio. Diede un’occhiata fuori dalla finestra. Il vento era calato, forse anche il freddo, ma la giornata non sembrava promettere nulla di entusiasmante.
Poco male – pensò – al limite andremo più piano e ci fermeremo più a lungo.
Pochi istanti dopo si ritrovò appoggiata al bancone di un bar, pronta ad assumere la sua fondamentale prima dose di caffeina.
Bevve, pagò ed uscì. Senza neppure accorgersi della presenza che aveva avuto di fianco.
“Hei, ok che non sei ancora di buon umore, però potresti almeno salutare!”
Si voltò di scatto. Era il ragazzino del giorno prima.
“Di un po’, mi stai pedinando?”
Sorrise.
“No, no! Sarà un caso… ammesso che tu ci creda al caso…”
Accendendosi la prima della giornata, si appoggiò alla moto, rimanendo in attesa della prossima uscita di quel piccolo genio.
“Mi piace il tuo mezzo a due ruote. Mi piace anche come stai andando in giro, così, senza una meta precisa…”
“Si, anche a me non dispiace, effettivamente, girare da sola.”
“He, già! Mi stai fregando! Senti, perché invece di continuare a nasconderti dietro questo insopportabile muro di gomma contro cui vorresti far rimbalzare il mondo intero, non mi porti con te?”
“Portarti con me?! E perché mai dovrei farlo? Non ti conosco neppure! E poi, te l’ho detto, sto viaggiando sola.”
“No, non credo che tu stia viaggiando sola. Credo che tu stia viaggiando con la malsana compagnia della tua peggior te stessa, quello sì. E credo anche che se io e te ci siamo incontrati ci sia un motivo e l’unico modo per scoprirlo è quello di proseguire insieme.”
Si alzò dalla moto.
Tutta quella sorta di arrogante presunzione iniziava seriamente ad urtargli i nervi.
“Eddai! Sono convinto che il tuo vero io mi sta dando ragione!”
Fissò negli occhi il ragazzo per qualche istante. Nel percepire forte sincerità, un pensiero le attraversò la mente: e se avesse avuto ragione lui?
Sospirò profondamente. E pronunciò la sua sentenza.
“Ti do quindici minuti al massimo per recuperare le tue cose e un casco. Se entro un quarto d’ora non sei qui, io me ne vado.”
“Grande! Sarò qua in dieci, giuro!”
“Aspetta. Un’altra cosa. Prova a parlare così tanto per tutto il viaggio e ti assicuro che tornerai a casa a piedi.”
“Concetto afferrato, capo! Arrivo subito!”
Era già passata qualche ora da quando erano ripartiti, e ancora non riusciva a capire l’esatto motivo per cui aveva deciso di portarsi dietro quello strano ragazzino. Forse le sue parole, così dirette, così schiette, e, soprattutto, inspiegabilmente, così piene di verità. Ma non era di certo cosa da lei. Forse la sua disperazione era diventata talmente grande da tentare qualsiasi espediente per riuscire a sentirsi davvero, ancora viva.
Arrivarono in un paesino a pochi chilometri dalla costa che già i loro stomaci vuoti stavano iniziando a dar forti segni di lamentela. Si fermarono ad un piccolo distributore di benzina. Dall’altra parte della strada un altrettanto piccolo bar.
“Riposiamo un po’. Renditi utile, vai ad ordinare un paio di panini e due birre fresche in quel bar mentre io faccio il pieno, coraggio, e aspettami al tavolo.”
“Agli ordini!”
Poco dopo si ritrovarono seduti in quel locale in miniatura, addentando con voracità i loro meritati panini.
“Vai tranquillo, sta iniziando a piovere forte, ci fermiamo qua finché non smette un po’.”
“…mmm… senti, cos’è che ti turba tanto l’animo?”
“Hai già scordato i nostri patti?”
“No, no, è che dovresti sforzarti di divertirti un po’ di più, sai farebbe bene anche a te…”
Finì l’ultimo goccio di birra che le era rimasto ed ordinò due caffè.
Non poteva assolutamente dagli torto, ma, nonostante ciò, non aveva la minima intenzione di parlargli degli affari suoi. Non in quel momento, almeno.
“…un grande uomo disse che divertirsi ed essere felici è un po’ come un dovere sociale, perché è l’unico modo per star bene e far star bene le persone accanto a noi. Io penso che abbia ragione. Anche se mi rendo conto che non è sempre facile, anzi… se poi uno dentro sta veramente male… però… almeno provarci ogni tanto…”
Rimase ancora senza rispondere, osservando in silenzio la grande spontaneità e l’immensa sincerità con cui il ragazzo aveva pronunciato quelle parole. Ad un tratto sorrise.
“Dimmi una cosa, quanti anni hai?”
“Diciannove, perché?”
“Eh, no, nulla. Comunque, sì, doveva essere proprio un grande uomo. Ora, però, bevi il tuo caffè, se no si fredda. Io pago il conto e do un’occhiata al tempo. Ti aspetto fuori.”
Fece quattro passi, giusto per trovare un angolo di cielo un po’ più vasto di quello che aveva sopra di lei, anche se, in realtà, la sua mente aveva già iniziato a viaggiare in ben altri luoghi. Come diavolo poteva riuscire un ragazzino a stupirla ogni volta che apriva bocca? E se avesse avuto ragione? Un ragazzino!?
2.
Completamente avvolta dal suo meditare, aveva da tempo distolto l’attenzione da quell’angolo di cielo che era riuscita a conquistarsi per poter intuire i movimenti delle nuvole, non accorgendosi nemmeno che un pallido raggio di un timido sole la stava accarezzando già da un po’ e che il suo compagno di viaggio le stava gironzolando attorno con aria annoiata.
Baratri troppo profondi e pericolosi vortici l’avevano rapita con estrema facilità nei loro cupi meandri. La salvezza fu nella voce del suo passeggero che improvvisamente la destò dalle insidie delle sua mente ancora troppo sensibile ad ogni sussulto del suo animo.
“Hei, pare che stia smettendo, che facciamo, andiamo?”
Annui, sapeva bene che era la cosa migliore da fare per lei, in quel momento. La sua motocicletta sì che sapeva sempre come donare un po’ di entusiasmo e di piacere anche al peggiore dei suoi umori! Così, pochi minuti dopo stavano di nuovo percorrendo quella piccola statale che li avrebbe fatti scivolare dolcemente verso la più vicina cittadina. Sul suo volto un delicato sorriso.
Dopo aver inseguito per tutto il resto della giornata lo scoppiettare del motore e lo scorrere fluido dell’ignota striscia d’umido asfalto che li aveva condotti ancora una volta vicino al mare e dopo un rigenerante bagno caldo, una modesta trattoria stava dando conforto sicuro al loro corpo, se non, addirittura, un poco anche al loro spirito. Il posto era molto tranquillo, la luce calda e soffusa, la gente garbata e discreta e un ottimo vino rosso faceva da perfetto contorno ad una serata apparentemente molto tranquilla.
“Toglimi una curiosità. Fino a quando pensi di vagare per il mondo in questa maniera?”
Guardò per un istante negli occhi il ragazzo. Ormai l’abitudine l’aveva quasi del tutto “temprata” a quelle uscite repentine e abbastanza invadenti del suo giovane interlocutore. Sospirò e decise di fornirgli una vaga risposta.
“Non lo so. Credo che continuerò a farlo finché non sentirò di poter tornare a casa.”
“Finché non penserai di aver riempito quel vuoto che ti sta facendo soffrire, non è vero?”
“Amico mio, il vuoto non si potrà mai riempire del tutto… questo poi… A volte, nella vita, il vuoto ti potrà sembrare colmo, ma troppo spesso sarà solamente un precario, sfuggevole istante. No, non sto viaggiando per inseguire un’utopia. Tornerò a casa quando avrò davvero fatto mio un perché troppo grande per poterlo capire ed accettare tranquillamente, ora. Tornerò a casa quando sentirò di poter essere di nuovo me stessa, quando riuscirò a far sorridere ancora il mio animo.”
“Hai perso qualcuno a te molto caro, non è vero?”
“E da cosa l’avresti capito?”
“Da quel tatuaggio che hai appena fatto sulla spalla destra. Sai… prima, in albergo, quando ti stavi infilando la maglietta…”
Improvvisamente s’irrigidì, erigendo nuovamente quell’alto muro dietro al quale tentava inutilmente di nascondersi.
“Questi non sono affari tuoi, ok? E poi quel tatuaggio non avresti neanche dovuto vederlo. Credo che sia meglio che tu mi preceda in branda e vedi di tenerti ben a mente i nostri accordi, intesi?”
Il ragazzo rimase per qualche secondo a scrutarla negli occhi, senza dar la minima impressione di essersela presa. Poi si alzò, sorrise e, tranquillamente, uscì dal locale.
Rimase ancora seduta al tavolo per una buona mezz’ora, fissando il suo riflesso nell’ultimo goccio di vino rosso rimastole nel bicchiere, senza riuscire a mettere a fuoco nessun preciso pensiero. Dopo un po’ riuscì a rilassarsi, pentendosi profondamente di essersi comportata in quel modo, di essere stata troppo dura, di aver agito scorrettamente nei confronti di quel giovane che, forse, stava soltanto cercando di aiutarla.
Lo vedi come sei conciata – pensò – non riesci nemmeno più a non comportarti come non vorresti che mai nessuno si comportasse con te! E’ proprio ora di fare qualcosa…
Promettendosi di chiedere scusa al ragazzo, si alzò anche lei, convincendosi che, forse, provare a dormire qualche ora gli avrebbe fatto solamente bene.
Mentre l’aria della mattina iniziava a scaldarsi un po’ coi raggi di un limpido sole comparso chissà da dove e la sua moto li stava attendendo già accesa, finalmente, si decise a rivolgere la parola al ragazzo.
“Sei pronto?”
“Si, quando vuoi possiamo andare.”
“Senti… volevo dirti… insomma… scusa per come ti ho risposto ieri sera, ho esagerato.”
Il ragazzo, guardandola con uno sguardo pieno di comprensione, sorrise ancora nell’esatta maniera della sera prima.
“Non ti preoccupare, io capisco. E quando non capisco e mi arrabbio, poi ci provo lo stesso a comprendere e alla fine, in un modo o nell’altro, tutto passa. Comunque… non me l’ero neppure presa! Penso che anche tu non smetta mai di chiederti il perché delle cose, solamente per questo te l’ho detto.”
Rimase qualche secondo senza pronunciar parola, poi con parecchio amaro in bocca gli rispose.
“Si, hai perfettamente ragione. Solo che troppo spesso l’unico perché che riesco a darmi, alla lunga, risulta essere fragile come una stupida scusa e allora ricomincio a martoriarmi il cervello.”
“Lo so. Però, a volte, solamente pensando che forse è giusto così, che le cose non potevano andare diversamente da come sono andate, dando la colpa al destino, se vuoi, e via dicendo, si riesce a mettere il cuore in pace, tanto…”
“Tanto, troppo spesso, non ci si può far nulla. Solo che certe volte tutto ciò fa terribilmente incazzare.”
“Già. Comunque, tranquilla, non dirò più nulla a riguardo, se preferisci. Ora andiamo, però, dobbiamo continuare il nostro viaggio, no? La nostra strada ci aspetta!”
Si guardarono negli occhi per uno sfuggevole istante, ma lungo abbastanza per sentire entrambi che il loro rapporto era improvvisamente diventato qualcosa di molto più profondo, di molto più reale. In quel piccolo istante capirono entrambi di aver davanti agli occhi una nuova amicizia.
3.
Passarono diversi giorni, vagando per statali di posti sconosciuti, di gelide colline e distese di ghiaccio, accompagnati solamente dai loro pensieri e dal rombo potente e costante del motore della sua moto, mentre l’aria fredda di dicembre rendeva sempre meno lunghe e più faticose le loro improvvisate trasferte e la stanchezza giungeva sempre più frequentemente come pessima compagna.
Ogni luogo che attraversavano, ormai, era completamente avvolto da una nettissima atmosfera pre natalizia, con luci colorate appese a lampeggiare in ogni dove, vetrine più o meno tristemente addobbate con babbi natale e neve finta, scritte luminose all’inizio di ogni via, vittime di lampadine troppo poco resistenti già bruciate da almeno un mese, mentre la gente frenetica ed isterica affollava, troppo spesso con grande ipocrisia, qualsiasi sorta di negozio. E tutto ciò la rendeva tremendamente nervosa, se non addirittura in preda a piccoli attacchi d’ansia controllati a fatica.
Già da tempo s’erano allontanati dalla costa e, evitando passi troppo innevati e godendo dell’ospitalità delle colline circostanti, erano ormai arrivati in quei della pianura, nei pressi in una piccola città sulle rive di un azzurro fiume.
S’erano da poco svegliati dalla quiete dei loro sogni e, ancora con il sapore di caffè in bocca, avvolti da un’aria limpida e da un bianco cielo da neve, si stavano preparando per partire nuovamente.
“Certo che ne abbiamo fatti di chilometri, è parecchio che giriamo, no?”
Si voltò verso il giovane amico, cercando di riuscire a leggere nei suoi occhi sinceri la vera natura de quell’inaspettata affermazione.
“Si, è vero, ma perché me lo chiedi?”
“Perché, se non ho capito male, ci siamo riavvicinati molto verso casa tua e, forse, hai voglia di tornarci… visto che, se tu non te ne fossi reso conto…”
“Eh! Credi, forse, che sia cambiato poi molto da quando sono partita?”
Improvvisamente, senza neppure accorgersene, s’era ancora una volta irrigidita come più le era capitato di fare da quel giorno in cui aveva voluto chiedere scusa al ragazzo. Inconsciamente, qualcosa l’aveva toccata nel profondo.
“Io stavo solo dicendo che… insomma oggi…”
“Tu stavi per darmi un’altra delle tue lezioni di vita dall’alto dei tuoi diciannove anno, vero? M’ero quasi convinta che avessi smesso dopo l’ultima volta, ma evidentemente mi sbagliavo!”
“Ehi!, frena! Perché diavolo ti inalberi in questo modo? Io volevo semplicemente dirti che…”
“Vediamo se indovino, mi stavi per dire che è ora che io ritorni alla mia esistenza, perché la vita stessa continua, perché non posso smettere di sognare, di vivere, di divertirmi, perché non è questo che avrebbe voluto per me, che, in fondo, devo farmene una ragione, perché tanto non posso farci nulla se lui non c’è più, che c’è qualcuno che mi sta aspettando perché non sono mai stata veramente sola, non lo sarò mai ed è giusto che io torni a regalare un sorriso a chi mi vuol bene, che da tutta questa storia devo prendere il giusto insegnamento che possa arricchire la mia vita, che tanto non smetterò mai di chiedermi perché, di soffrire, di cercare di riempire un vuoto incolmabile che neppure il tempo potrà offuscare, perché l’unica cosa da fare è quella di tentare di conviverci al meglio possibile e…”
Il suo tono divenne ad un tratto più calmo e pacato, completamente diverso, quasi si fosse resa completamente conto solo in quell’istante di ciò che stava dicendo. E i suoi occhi, lentamente, iniziarono ad annebbiarsi di calde lacrime.
“…e continuare a vivere davvero anche per chi fisicamente non potrà mai più essere al mio fianco, senza mai lasciar morire ciò che mi ha lasciato, perché è l’unico modo per poter continuare insieme il nostro cammino e…”
Si sedette, appoggiando la testa tra le mani. La tristezza e la malinconia l’avevano invasa nuovamente, ma una strana consapevolezza stava iniziando a guadagnar terreno dentro il suo più profondo io.
Il ragazzo rimase qualche minuto immobile, in silenzio, osservandola d’uno sguardo tenero e pieno di sincero affetto. Poi, con grande calma pronunciò quelle parole che, finalmente, riuscirono e sbloccare completamente il suo animo inceppato.
“Beh, io posso solamente aggiungere che hai perfettamente ragione e che sono felice che finalmente tu ci sia arrivata. Perché tutto ciò che hai detto proveniva da te. E, ora più che mai, credo proprio che sia giunto il momento che tu torni a casa, perché ora so che tu potrai farcela. Tu hai trovato dentro di te la forza per continuare la tua strada, il tuo percorso, il tuo viaggio.”
Alzò la testa, fissandolo negli occhi, mentre la neve stava iniziando a cadere piano e ad avvolgere lentamente ogni cosa. Per la prima volta, sentì subito che quel ragazzino aveva pienamente ragione.
Accese la sua moto, che pigramente si mise a scoppiettare piano, quasi contro voglia, quasi fosse ancora mezza addormentata, si infilò il casco e, proprio mentre stava per salirci sopra ed ingranare la prima, l’amico la chiamò.
“E poi, la vuoi sapere un’altra cosa? Vuoi saperla tutta la verità?”
Sorrise, assumendo una dolce aria divertita.
“Avanti, sputa il rospo, genietto!”
“Io non volevo assolutamente dirti nulla di tutto ciò! Hai fatto tutto da sola! Io… beh, stavo solamente per dirti… di tutto cuore, amica mia, buon Natale!”
Anna “Annina” Lorenzi
(pubblicato in 3 uscite da ottobre a dicembre 2006 nella rubrica “Parole a gas aperto – Il racconto di Annina”
della rivista “Women on Bikes” – Edil motor editore)