Un (non)Di getto… dell’anno 2002

Rispolverando vecchie cartelle, trovando vecchi testi…

Un estratto dalla prima versione originale de “La Verità”, un racconto a puntate, scritto quasi una ventina di anni fa (!!! – 19, per essere precisi… 😉 ), nell’estate del 2002… Enjoy!

– Intro (ciò che fu) –

Tutto ebbe inizio tanto, tanto tempo fa, in un mondo senza tempo, in un luogo lontano, mai conosciuto fino ad ora, mentre le fronde degli alberi iniziavano a lasciar al vento tracce colorate d’autunno e la prima stella della sera aveva già fatto capolino tra le ultime luci di un limpido tramonto, trafitto dal volo di rondini appena partite.

“Che c’è? Perché non parli?”
“Nulla. È solo vuoto.”

Rimasero ancora in silenzio, sfiorati da una brezza fresca, profumata, ma piena di rassegnata malinconia. Davanti a loro il silenzio di un giardino ormai disabitato.

“Te ne vai, vero?”
“Non c’era bisogno che lo dicessi, non credi?”

“No, l’avevo capito.”
“Già.”

“E quando sarà?”
“Presto. Molto presto.”

“Ti rivedrò mai?”
“Non farmi domande a cui solo il tempo può rispondere. Può essere. O forse no.”

“Ma saremo sempre assieme?”
“Sempre.”

“Anche quando avrai superato i confini del mondo?”
“Sempre. È una promessa.”

Si alzarono. Un lungo abbraccio soffocò in gola la parola addio.

– LA VERITA’ – PUNTATA #1 –

La storia che sto per narrarvi giunge da un tempo lontano, da un tempo non ancora conosciuto nella nostra realtà. Un tempo di un futuro inesistente, forse apparentemente illogico, e di un passato ignoto, non ancora scoperto, non ancora trovato.
Tutto ebbe inizio in un noioso pomeriggio d’un novembre di pioggia, sullo sfondo grigio di ferro e cemento d’una anonima città, all’interno di uno dei tanti imponenti grattacieli di vetro in cui era solita nascondersi tutta la peggior burocrazia di quel fottuto mondo.
La sala d’aspetto era gremita di gente, di persone tutte identiche tra loro, con gli stessi abiti, le stesse facce rassegnate, spente, tutte in fila per lo stesso, assurdo motivo.
In quel momento si guardò attorno, distogliendo per un attimo lo sguardo assente dal vetro grondante che aveva di fronte. In quel momento si sentì fortunato di ritenersi diverso. In quel momento si sentì felice di poter usare la sua mente per immaginarsi in un altro dove.
Il suo sguardo assente celava luoghi talmente splendidi che, forse, mai erano potuti esistere, anche se, forse, lui stesso li aveva visitati in un’altra vita, in un altro tempo, luoghi in cui i colori si potevano realmente vedere, i profumi realmente sentire e le persone, davvero ritenute tali, erano in tutto e per tutto individui sociali con pensieri profondi, profondi sentimenti, leali principi e non soltanto numeri in giacca e cravatta, luoghi in cui…
“Avanti il numero 2315!”
La fredda voce dell’altoparlante sopra la porta lo fece bruscamente ritornare nello squallido posto in cui era seduto ormai da un paio d’ore.
Beh, ancora otto numeri – pensò – e finalmente posso schiodare il culo da ‘sto posto, non ce la faccio più!
“A chi lo dici! Io ancora venti!”
Si girò di scatto, odiava incontrare i lettori di mente quando stava pensando ai fatti suoi, e odiava incontrarli anche quando ne aveva bisogno, riuscivano sempre a chiedergli somme assurde per lavoretti da nulla e per di più senza dar mai la certezza assoluta di raccontare davvero la verità… (…)

Anna “Annina” Lorenzi, estate 2002 – (non)#DiGetto

Un testo “Original A19”
Copyright ©Anna Lorenzi. Tutti i diritti riservati.

Foto: Alex MacFaul su Unsplash


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